La vicenda riguarda una funzionaria dell’Agenzia delle Dogane, costretta a lavorare da casa a causa della pandemia. La donna aveva chiesto e ottenuto un permesso per ritirare la figlia di sette anni all’uscita della scuola, situata a circa un chilometro e mezzo dalla sua abitazione. Durante il tragitto, è caduta riportando una menomazione permanente.
L’INAIL aveva negato il risarcimento, sostenendo che l’incidente non fosse riconducibile a un rischio legato all’attività lavorativa, ma a un rischio generico, comune a tutti i cittadini. Secondo l’ente, l’infortunio non avrebbe avuto alcun collegamento con il lavoro svolto, poiché la donna si era allontanata dall’ambiente domestico per una questione privata, ossia accompagnare la figlia a scuola.
La donna ha quindi presentato ricorso al Tribunale del Lavoro, richiedendo un risarcimento di 71mila euro per l’inabilità temporanea causata dalla caduta e per le spese mediche sostenute.
La giudice del lavoro ha stabilito che, pur non riconoscendo l’intera cifra richiesta, la donna avesse diritto a un risarcimento parziale di poco più di 10mila euro. Nella sentenza, viene chiarito che “il lavoratore è tutelato quando si allontana dall’azienda o dal luogo di lavoro in occasione di pause, riposi e permessi, soprattutto per esercitare diritti personali che non possono essere sacrificati”. Questo principio viene applicato anche al lavoro in smart working, poiché l’infortunio si è verificato durante una sospensione dell’attività lavorativa per motivi legittimi.
Questa sentenza conferma che i lavoratori in smart working possono richiedere tutela anche in situazioni che riguardano la gestione della vita familiare. Se ti trovi in una situazione simile o hai subito un incidente durante lo smart working, contattaci subito per ricevere assistenza e valutare la possibilità di ottenere un risarcimento.
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