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Cadi in una buca? Se l’avevi già vista per il tribunale si tratta di “presunzione di conoscenza”

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Cadi in una buca? Se l’avevi già vista per il tribunale si tratta di “presunzione di conoscenza”

L’ufficio dello stato civile del tribunale di Roma ne è pieno. Sono decine, centinaia, migliaia i casi presentati da persone che hanno avuto la sfortuna di avvicinarsi troppo all’asfalto capitolino solo per aprire uno dei cassetti di viale Giulio Cesare. Gamba rotta, caviglia storta, bacino frantumato.  È piuttosto doloroso leggere le lamentele sul gonfiore. Ma le risposte della giuria sono quasi sempre le stesse e si possono così riassumere.
Nella burocrazia si chiama “presunzione di conoscenza” a Roma il sistema giudiziario a protezione delle volte del Campidoglio.  L’accordo informale tra governo e amministrazione è la croce del giurista romano . Per evitarlo ci vuole pazienza, qualifiche di ferro e materiale fotografico di buona qualità. Uno sparo per mostrare che c’era un buco dove era rimasto ferito l’assistente di turno. L’altro è per perpetuare le toppe applicate dopo la caduta. Questo è l’unico modo per abbattere le mura costruite dai tribunali civili.
Lo sapeva anche l’attrice Rafaela Revoloni, caduta nella voragine in zona Trastevere, a Roma, in via Agostino Bertani a fine luglio, che trascorse l’estate con il gesso. Suo marito, il regista Francesco Bruni, si è recentemente espresso contro la “presunzione di conoscenza” sui social.  “In effetti, se sei di Prenestina e cadi nel buco di Trastevere, va bene, ma se tu’ re da Trastevere, Ciccio, dovresti sapere che ci sono i buchi. Come se i buchi fossero un elemento costante del paesaggio urbano“. L’attrice invece racconta: “Era la fine di luglio. Sono andato a Lavanderia e mi sono allungato lungo via Bertani, una strada che non avevo mai preso per arrivare a piazza San Cosimato. Quando il mio avvocato mi ha spiegato il senso di questa formula legale (valida in tutta Italia, ma efficace soprattutto a Roma quando si contano i buchi sparsi per la città, ndr), mi sono stupito, ma non mi arrendo ancora. Inoltre, il buco in cui sono caduto è stato coperto, quindi farò causa”. 
In questo cratere, anzi in due crateri, «è caduta anche un’altra donna», continua Raffaella Revoloni. “Quando sono arrivata al pronto soccorso, c’era anche un turista francese che era appena caduto in una buca. Per tornare a me, la situazione è ridicola”.
Anche in questo caso la giurisprudenza è molto ampia. E non necessariamente amichevole.

L’ultima sentenza è datata 27 settembre, estende il principio della “presunzione di conoscenza” al posto di lavoro. La storia parla di un dipendente di un ufficio di via dei Gracchi, in zona Prati, scivolato su una rampa per portatori di handicap che dalla carreggiata porta al marciapiede di via Scipioni, a due passi dalla fermata metro Ottaviano della metro A. I giudici sono impietosi: “Il sinistro si è verificato in ore diurne e in condizioni di visibilità. Né va sottaciuto che l’attrice (la persona che ha fatto causa, ndr) lavorava in zona e conosceva i luoghi teatro del sinistro e, più che verosimilmente, le condizioni del marciapiede”. Proprio così. Ecco “la presunzione di conoscenza” applicata.

 

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